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Da questa terribile esperienza dovrà nascere una società migliore.
Se è vero, e mi auguro che lo sia davvero, che ci stiamo avviando, in un modo o nell’altro, verso la fine di questa esperienza di clausura forzata, qualche breve riflessione, forse, è il caso di farla.
 giovedì 30 aprile 2020 14:54
Da questa terribile esperienza dovrà nascere una società migliore. Se è vero, e mi auguro che lo sia davvero, che ci stiamo avviando, in un modo o nell’altro, verso la fine di questa esperienza di clausura forzata, qualche breve riflessione, forse, è il caso di farla. Di solito, nei periodi di crisi, in occasione di grandi tragedie, in caso di terremoti o di alluvioni, gli intellettuali o, comunque, la parte pensante del Paese faceva sempre sentire significativamente la sua voce, e orientava la riflessione verso contenuti che, in qualche modo, aiutavano la comunità a uscire dal tunnel. In questi due mesi, raramente è capitato di ascoltare uomini di cultura o intellettuali esprimersi, agendo da supporto morale e psicologico alla comunità. Se a ciò si aggiunge il ruolo assolutamente inadeguato che la Tv e i giornali hanno svolto in questo periodo, si capisce il perché siamo stati costretti ad ascoltare montagne di sciocchezze e di fake news che, regolarmente, sono state propinate per verità. Mai come in questo periodo, il livello del dibattito politico, eccessivamente spettacolarizzato, è stato così basso. Un dibattito che si è limitato alla cronaca politica, in alcuni casi al delirio politico, ma quasi mai ha riguardato i contenuti e, quindi, la ricostruzione del Paese. Nei primi giorni di pandemia, in tanti si erano affrettati a dire che questa esperienza, ci avrebbe completamente cambiati, che nulla sarebbe stato più come prima. Poi, non si è sentito più nessuno, solo polemiche, smentite, illazioni, discussioni inutili, e chi sarebbe dovuto intervenire per elevare il tono della discussione, e far prevalere il buonsenso e la ragione, ha preferito tacere. Eppure, in tanti avevano profetizzato la voglia di cambiamento, puntualizzando che avrebbe funzionato, come nel secondo dopoguerra, da volano per lo sviluppo. La comunità nazionale confusa e smarrita che, in questo periodo, ha saputo dare il meglio di sé, avrebbe meritato ben altro, rispetto alle polemiche insulse di questi giorni. Purtroppo, bisogna prendere atto che, in questo frangente, chi aveva responsabilità civile culturale e morale ha rinunciato a svolgere la sua funzione, cessando di essere coscienza critica e lasciando le cose immutate. Peccato! Quanto è accaduto, se non ci saranno serie ripercussioni, sarà ricordato come una brutta esperienza e niente più. Noi cittadini, però, non possiamo permetterci un lusso del genere, soprattutto, in un momento in cui la politica ha perso di lucidità e sembra non credere in se stessa. Mai ci saremmo aspettati, di fronte ad una crisi gravissima come quella italiana, che le varie forze politiche non sapessero fare quadrato, nel difendere, non gli interessi ma, la sopravvivenza del Paese. In una società civile, è compito degli intellettuali e degli uomini di cultura diventare voce critica e richiamare perentoriamente tutti a responsabilità. Se ciò non è avvenuto, vorrà dire che, d’ora in poi, lo dovranno fare i giovani, le associazioni, la scuola, il volontariato, coloro che hanno sensibilità sociale, insieme a quanti sono convinti che uscire da questo terribile momento è possibile, e occorre farlo col concorso di tutti. È tempo di dare corso alla speranza, di uscire da questa trappola, e di costruire un nuovo ordine sociale incentrato sulla persona, ricordandoci di tenere ben presenti, d’ora in poi, non più gli egoismi e gli individualismi personali e geografici, che hanno frantumato questa società e l’hanno resa debole, ma i valori autentici come la democrazia, la responsabilità, l’equità, la solidarietà, e l’inclusione.
    Salvatore Martino
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