Grazie di tutto Padre Flaminio |
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mercoledì 6 settembre 2017 10:06 |
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Ci ha lasciati monsignor Flaminio Ruffo. Nella mattinata di oggi per cause naturali a 91 anni ha raggiunto la casa del Padre. Per noi è davvero molto difficile, in una circostanza del genere, continuare a vestire i panni del giornalista, perché Padre Flaminio non può essere trattato con il distacco che la professione giornalistica impone, ecco perché di lui parleremo di chi ci ha voluto bene come figli, come giovani di una comunità parrocchiale e sociale che è cresciuta con lui. Con Padre Flaminio va via un pezzo di storia autentica della Stazione, perché lui pur non essendo coriglianese, infatti fino al 1962 ha vissuto nella sua Torano e località limitrofe portando avanti con passione e fede la missione di Padre Ardorino, Padre Flaminio è stato per ben 54 anni parroco dello Scalo, ed anche dopo che non era più parroco qui da noi è vissuto ugualmente allo Scalo nella casa del fratello Mario dove questa mattina è stato trovato privo di vita. Dal 1962 ad oggi Padre Flaminio ha vissuto intensamente la realtà religiosa, sociale, politica ed economica di questa importante parte del territorio coriglianese che è lo Scalo. Era il 23 novembre del 1962 quando, a sorpresa, venne presentato alla comunità parrocchiale quel giovane Padre Ardorino. Nelle parole di un’altra persona che ha fatto la storia dello Scalo, la compianta Maria Le Voci fortemente legata a Padre Flaminio, la descrizione di quel momento: “Senza che nessuno ci disse qualcosa, la mattina del 23 novembre 1962, era un venerdì, uscì dalla sacrestia un prete a celebrare la messa e noi pensammo che fosse uno di passaggio e, invece, a fine messa disse : “Io sono il vostro nuovo parroco”. Era don Flaminio Ruffo”. Quanti ricordi, quanti momenti indimenticabili si addensano nella nostra mente, perché Padre Flaminio, e concedetemi questa divagazione dal sapore molto intimo, una volta giunto alla Stazione di Corigliano conobbe la famiglia De Pasquale. Strinse un forte rapporto con il compianto mio padre Francesco, ma anche con le mie zie Raffelina e Serafina, per non parlare della mia cara nonna Maria e della mia carissima mamma Maria. Padre Flaminio in tutte le circostanze, sia pubbliche che private, non ha mai lesinato parole di gratitudine verso la famiglia De Pasquale “per il bene e la comprensione che hanno avuto nei miei confronti” diceva spesso. Ecco perché Padre Flaminio è entrato d’impeto nella mia vita, ma direi nella vita di intere generazioni di abitanti dello Scalo. In 54 anni Padre Flaminio ha visto crescere a dismisura questa frazione passata dai circa 1000 abitanti del ’62 a quelli attuali. Tra le mie carte conservo ancora una sua omelia che tenne alcuni anni fa nel corso di una festa in onore della Madonna Delle Grazie, parole che oggi hanno un sapore profetico: “ ... in tale mistero - scriveva- anche i nostri dolori diventano tappe della nostra maturazione umana e cristiana, e la vita, che sarà sempre faticoso esodo ... sarà sempre confortata dalla speranza della Pasqua, già presente nell’esperienza attuale del credente, ma che sarà completa nel regno di Dio che ci attende ». Caro Padre Flaminio, tra le poche cose che non c’hai mai insegnato c’è certamente il sentimentalismo. È forse per questo che oggi mi trovo assolutamente impreparato a scrivere questa lettera, con la quale vorrei salutarti. Nessuno, del resto, si sarebbe mai atteso di doverla stendere da un giorno all’altro, perché per me, nonostante la tua età avanzata, tu dovevi salire in cielo il più tardi possibile. Permettimi, insomma, qualche concessione all’improvvisazione e, soprattutto, ai sentimenti: non se ne può fare a meno quando ci si trova a salutare un grande uomo. Grande uomo. Già, è questo ciò che sei stato. Adesso che non sei più in mezzo a noi sono finalmente libero di dirtelo, senza correre il rischio di sentirmi rispondere qualcosa del tipo “non è così”. Sì, sei stato davvero un grande uomo. Come dicevo piombasti nella chiesa “piccolina” dello Scalo nel 1962. Nel ricordo di Maria Le Voci si dice che l’accoglienza fu “tiepidina”, ma ben presto però hai fatto di tutto per farti voler bene. La comunità – la “tua” comunità – con il trascorrere degli anni crebbe, di numero e di età. Tanti furono i giovani che riuscivi a coinvolgere nelle varie attività parrocchiali. Non lesinavi iniziativa come gli scouts, le guardie svizzere, il coro, l’Azione cattolica, i pellegrinaggi, e tanto, tanto altro ancora. Il tempo però per quei ragazzi passava, vennero poi i venti anni e gli studi universitari. Molti di quei ragazzi con cui avevamo condiviso le estati, gli amici protagonisti di quei ritiri estivi, si erano ormai allontanati dal “dietro chiesa”, ognuno attratto dalle proprie scelte, spesso lontane anni luce da quelle su cui li avevi invitati a scommettere. Poco male: era il segno di ragazzi che facevano tesoro della libertà che gli avevi insegnato. Sì, esatto: era il segno di ragazzi liberi, che nessuno aveva imprigionato in nessun dogma. Nel pieno dei nostri vent’anni, per chi rimase venne anche la consapevolezza della fede che ci stavi trasmettendo. Le riunioni presero a scavare sempre più in profondità nelle nostre convinzioni, mentre nuovi dubbi mettevano da parte le nostre vecchie certezze. Eri entusiasta di quello stava accadendo: del resto, metter d’accordo ragione e fede era sempre stato, assieme all’impegno sul fronte della carità, ciò che ti eri sforzato di insegnarci. “Dar ragione della propria fede”: ce lo siamo ripetuti tante volte, assaporando quella libertà che si respira scommettendo su Gesù Cristo. La gioventù, da un pezzo, è finita anche per noi, messa da parte dagli impegni di lavoro, a cui si sono aggiunti, per alcuni, una famiglia e dei figli. Caro Padre Flaminio, abbiamo sempre giocato a fare i duri; la tua morte, alla fine, ci ha colto di sorpresa senza mai averti detto nessuno dei grazie che ti dobbiamo. Sono dei grazie – ne siamo certi – che in tanti oggi, con me, vorrebbero indirizzarti. Grazie, dunque, per aver custodito e reso unica la nostra preziosa gioventù. Grazie per averci prestato, per anni, quegli scalini, salvezza di molti. Grazie per averci riempito la testa di punti interrogativi, proponendoci le tue risposte, ma lasciandoci sempre liberi di commettere i nostri errori; è così che abbiamo scoperto il significato di quella parola, “libertà”, che è ora l’ingrediente indispensabile della nostra esistenza. Grazie di ogni litigio che abbiamo fatto. Grazie per averci insegnato a respingere ogni soffocante moralismo, a non pretendere la perfezione da nessuno (a partire dai noi stessi), ad amare l’irrinunciabile dimensione popolare della nostra fede. Grazie per la fiducia che c’hai sempre concesso. Grazie per averci costretto a non prenderci mai troppo sul serio. Grazie per averci fatto amare la Chiesa Cattolica e i suoi sacerdoti, soprattutto quelli più fragili. Grazie per aver sempre ricordato che non v’è nulla di più anticonformista che provare ogni giorno a farsi conformi a Cristo. Grazie per averci insegnato a stare “nel mondo”, per averci armato contro le sue storture, per averci ricordato, fino all’ultimo, che i cristiani sono quelli del “sì sì, no no”, quelli che fanno discutere e arRabbiare, quelli scomodi, che scottano, mai i tiepidi. Grazie per averci sempre raccomandato di tener l’operato della mano destra nascosto agli occhi della mano sinistra, per averci sempre tenuto lontani tanto dall’indifferenza, quanto da ogni soffocante buonismo. Grazie per averci ricordato che si va. E grazie, soprattutto, per averci fatto scoprire una storia, quella di Gesù Cristo: la storia – e nient’altro che la storia – di un uomo eccezionale, con un finale talmente sconvolgente da rovesciare la vita di quelli che non possono fare a meno di crederlo vero. Grazie per averci raccontato il “fatto”, come lo chiamavi tu, totalmente scandaloso, del nostro Dio che si fa uomo per incontrarci duemila anni fa come oggi. Un incontro che ci hai fatto vivere e assaporare ogni volta che ci guardavi negli occhi. Caro Padre Flaminio, non sappiamo ancora come ti ricorderemo. Del resto, anche se qui tutti non fanno che ripeterlo, non è vero che hai amato i poveri, tu che per anni li hai nutriti e vestiti. Non è vero che hai amato lo studio e la cultura, tu che te ne sei andato in una libreria. E non è vero nemmeno che hai amato i ragazzi, tu che li hai accompagnati nella loro crescita. No, non hai amato né i giovani, né la cultura, né i poveri: tu hai amato Cristo ed è lui che ti ha convinto ad amare tutto il resto. Ecco: “Padre Flaminio, quello che ha amato Gesù Cristo”. Vogliamo ricordarti così, senza altre etichette. Tu vivi già la Pasqua gloriosa del Cristo, tu sei già nella gloria del Padre, perché tu già da questa terra, eri certo del Suo amore. Quante volte lo hai ripetuto anche a noi. Tu dicevi: «Vedete, per un cristiano, non è tanto importante amare Dio, quanto essere certi del Suo amore per noi. Questa sicurezza ci dà conforto, speranza, e fa scaturire in noi, l’amore per Dio e per il prossimo! ». Animato e sorretto da questo Amore, hai costruito la tua chiesa. La tua chiesa che amavi definire: « ... Chiesa di periferia, senza una vera e propria facciata, ma che non ti volta le spalle, accoglie tutti da tutte le parti ... ». La tua chiesa rispecchia il tuo stile di vita: tutti accoglievi, tutti ascoltavi, non rimandandovi indietro nessuno, senza averlo prima confortato. Cosi facendo, realizzavi “la vera chiesa“, la chiesa delle anime, la comunità parrocchiale, per la quale hai vissuto e hai dato la vita . Ora noi raccogliamo la tua preziosa eredità e non piangiamo perché Dio ti ha tolto a noi ma lo ringraziamo per averci fatto dono di te.
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Giacinto De Pasquale
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